AFIL – in partnership con Sistema Moda Italia (SMI) – ha dato vita ad una serie di attività finalizzate a consolidare una filiera di eccellenza che concepisca progetti di ricerca e innovazione strategici per il futuro dell’industria tessile lombarda dandone visibilità alle istituzione. Grazie ad AFIL il gruppo è inserito in un percorso di posizionamento internazionale mediante diverse iniziative Europee di rilievo come Vanguard, Euratex, Regiotex e la Piattaforma S3 della Comunità Europea. Tra le aziende attive vi è Cotonificio Albini, Socio AFIL e storica realtà tessile con diversi progetti in ambito economia circolare, sostenibilità e simbiosi industriale
La Silicon Valley dei tessuti sta prendendo forma nella bergamasca. Al centro c’è Albini, storico cotonificio la cui storia inizia nel 1876 ad Albino, provincia di Bergamo. E che oggi, grazie a investimenti cospicui in ricerca sta innovando come nessuno nel suo settore. «In particolare, stiamo lavorando sui colori, sempre meno derivanti da processi chimici e sempre più made in Italy e naturali», dice ad Afil il presidente della holding Stefano Albini. Colori che vengono tratti da batteri coltivati in vitro, dall’acqua di bollitura del riso nero, dalla ruggine degli scarti industriali, dalle foglie di una pianta americana. «Tutto questo è avvenuto a partire dalla fine del 2019 grazie ad ALBINI_next, un think tank che abbiamo costruito dentro alla sede del Kilometro Rosso di Bergamo». Perché l’innovazione, secondo Albini, non può avvenire nel chiuso della propria azienda, ma presuppone collaborazione. E nella stessa ottica l’azienda ha scelto di associarsi ad Afil che è, nelle parole di Albini, «un abilitatore di open innovation».
«Far parte di Afil ci consente di stare in connessione con altre aziende, di coltivare l’economia circolare che è una priorità per l’associazione e che noi perseguiamo. E stiamo concretizzando attraverso il riutilizzo di tessuti rimasti in magazzino che vengono trasformati in nuovi filati. Un altro tema è l’Ai che sarebbe determinante per il controllo del tessuto finito, che oggi viene realizzato a occhio nudo, metro per metro, per i 9 milioni di metri che vendiamo ogni anno. Avevamo portato avanti un progetto di visione automatica con detection: sono tutti temi che con Afil abbiamo modo di sviluppare. Anche grazie ai contatti trasversali con le molte aziende meccaniche e le eccellenze tecnologiche che essa raggruppa: insomma Afil ci porta in una dimensione nuova e diversa. È una sorta di upgrade».
Cotone dal campo alla confezione, per un fatturato di 130 milioni

La produzione in Albini
Il contesto in cui ci muoviamo è quello di un distretto del tessile che in Lombardia vale 12 miliardi, coinvolge 15mila imprese e 97mila addetti (Sistema Moda Italia con Liuc Business School). Il fatturato di Albini Group, con oltre 9 milioni di metri di tessuti, in 20mila varianti diverse, venduti in 80 86 paesi in tutto il mondo, si aggira sui 133 milioni (dato 2021) avendo praticamente recuperato il dato pre Covid a circa 140 milioni, dopo un 2020 difficile in cui il fatturato ha perso il 30% fermandosi a 98 milioni di euro.
«A partire da maggio 2021 gli ordini sono ripartiti e l’accelerazione avvenuta tra settembre e fino anno ci ha consentito di riagganciare i ritmi pre Covid, grazie anche alla riorganizzazione in atto in azienda, con la focalizzazione sulle aree di business a maggior valore aggiunto. Attualmente siamo in una fase positiva, ovviamente la guerra e tutto quanto connesso sul fronte geopolitico ed energetico continuano ad essere elementi di incertezza sul mercato, aggiungendo altre sfide al lavoro quotidiano. Albini potrebbe risentire in maniera più lieve di questo clima sia perché opera nel lusso che per definizione è un settore resiliente, sia perché ha appreso la lezione della pandemia. Ovvero che i cigni neri sono un imprevisto prevedibile e che bisogna corazzarsi per essere pronti a riposizionarsi e ripartire. «Abbiamo progetti grazie a cui siamo in una condizione migliore rispetto al pre-pandemia. Abbiamo rafforzato il posizionamento commerciale: esportiamo in più di 80 paesi al mondo e conosciamo approfonditamente tutti i mercati. E abbiamo puntato sull’innovazione».
La sostenibilità come motore di innovazione

La produzione in Albini
«La nostra collezione era sempre quella di spicco in tutte le fiere e faceva da benchmark per tutte le altre – dice il presidente – ma a un certo punto, circa dieci anni fa, non bastava più. Abbiamo dovuto aggiungere altri plus oltre alla bellezza e ci siamo rivolti ai temi della sostenibilità, quindi dalla tracciabilità dei cotoni alla garanzia della loro organicità e del rispetto dei diritti umani nei luoghi di lavoro dalla raccolta sul campo di cotone fino alla creazione del tessuto. Per cui terzisti e stabilimenti a cui ci rivolgiamo devono essere tutti certificati. Valutando che il processo di produzione fosse il più pulito possibile». Ambiente e società, dunque, al centro dell’attenzione, per quella che è una delle filiere più inquinanti dell’industria. «La sostenibilità è diventata elemento fattuale e concreto, un vero e proprio asset spendibile». Sul fronte dell’ambiente Albini ha investito sia internamente spingendo sull’efficienza energetica, con autoproduzione di energia elettrica da solare, eolico e idroelettrico, sia in termini di innovazione di processo.
ALBINI_next, il think tank che sta rivoluzionando la produzione tessile con le start up industrializzate

Albini e Riso Gallo
E in questo contesto è nato a fine 2019 il progetto ALBINI_next, un vero e proprio laboratorio di innovazione che ha sede nel Kilometro Rosso di Bergamo e che sta rivoluzionando l’innovazione sostenibile della filiera tessile. «Già tutte le sostanze chimiche che utilizziamo erano certificate secondo tutti gli standard internazionali, con ALBINI_next abbiamo fatto molti passi in avanti sui coloranti, che sono un tema delicato in quanto essendo a contatto con la pelle devono garantire la massima salubrità e sicurezza». I progetti in corso di sviluppo sono diversi, ma tutti hanno dei tratti comuni. «Cooperiamo con altre aziende, università, startup e centri di ricerca di altri brand del lusso. Questi ultimi sono molto interessati a cooperare con chi come noi conosce la filiera a monte… ma abbiamo collaborato anche con un’azienda che fabbrica lavatrici per capire come limitare uscita delle microfibre che causano inquinamento. Abbiamo allargato il nostro business e oggi firmo almeno tre accordi di collaborazione al mese». Una volta selezionata l’idea, ALBINI_next la sviluppa nelle strutture industriali di Albini, rendendo possibile la messa a terra in tempi rapidi e costi relativamente contenuti per quella che è a tutti gli effetti una start up.
I progetti di colorazione naturale in sviluppo grazie a ALBINI_next

Innovazione in Albini
I progetti che sono già stati presentati sono quattro. Il primo si chiama Off the Grain e deriva dalla collaborazione con Riso Gallo, una delle più antiche industrie risiere italiane. Il risultato è una nuova tipologia di tintura ricavata da una particolare varietà di riso nero coltivato in Lombardia e Piemonte che viene bollito prima di poter essere commercializzato. L’acqua di bollitura viene recuperata da ALBINI_next che la trasforma in una tintura naturale. «Ci sono voluti vari tentativi ma alla fine siamo riusciti a creare quattro diverse tipologie di tintura nelle nostre vasche per tingere i nostri filati in diverse gradazioni di beige e anche in marrone, con un colorante che anziché derivare dal petrolio è naturale e made in Italy». Il processo di tintura consente anche un risparmio di acqua tra il 30 il 40%, rispetto ai processi tradizionali.

Magazzino Albini
Ancora, da ALBINI_next sono usciti i coloranti re–Oxyde che derivano dal processo di ossidazione del ferro, «utilizziamo i residui di lavorazione dell’industria di lavatrici e lavastoviglie: recuperiamo gli scarti di lamiera, li ossidiamo e trasformiamo in polvere. La polvere viene successivamente additivata a una pasta che rende il prodotto pronto per essere impiegato nelle successive fasi di tintura. Il risultato è un pigmento inorganico in tre diverse colorazioni (rosso, nero e giallo). Tale pigmento viene infine ancorato alla fibra per mezzo di un polimero bio-based. Infine, nel campo dei colori, l’ultimo progetto è il Grounded Indigo, una tintura per il denim ricavata dalla Indigofera suffruticosa, una pianta coltivata tramite pratiche di agricoltura rigenerativa nelle regioni del Tennessee, del Kentucky e della Florida meridionale. Anche questa ricerca è stata condotta con la collaborazione con Stony Creek Colors, produttore americano dell’unico indaco al mondo 100 % plant-based certificato Usda BioPreferred (lo standard che valuta il contenuto biobased di un prodotto). «ALBINI_next è riuscito a industrializzare la ricetta chimica corretta per applicare la tintura direttamente sul filato e garantire, allo stesso tempo, che l’intero processo sia coerente con la sostenibilità della produzione dell’indaco naturale».
Un ultimo progetto, nell’ambito del finissaggio, è un olio «che abbiamo usato al posto di silicone per fare di finissaggio per dare una mano morbida al tessuto». Si chiama HempFeel e deriva dalla collaborazione con Montex Italia, azienda cosmetica che lavora la canapa sativa da cui si ricava l’olio vegetale, biodegradabile al 95%, che non contiene siliconi e non rilascia microplastiche e conferisce al tessuto una mano incredibilmente morbida e delicata. Inoltre, dopo diversi lavaggi la mano del tessuto non cambia significativamente.
Struttura da multinazionale, anima da artigiani

Albini: struttura da multinazionale, animo da artigiano
L’Italia in quanto patria dell’alta moda resta il mercato di sbocco più importante, seguita dall’area europea e dagli Stati Uniti. Albini Group è un gruppo strutturato, una piccola multinazionale. Il cotonificio è sotto il controllo della holding. A lato, c’è Albini Energia, uno spin off di Cotonificio Albini, una esco che progetta impianti, e si occupa di cogenerazione, sistemi di riutilizzo di acqua nel finissaggio. Sotto il cotonificio, c’è il ramo de “I cotoni di Albini”, con 53 milioni di fatturato nel 2021, che vende filati, e lo fa presidiando la filiera, dalla coltivazione del cotone alla realizzazione della filatura, con la vendita diretta anche ai produttori di maglieria. Per dar forza alla spinta commerciale, nell’ultimo decennio sono state inoltre inaugurate le sedi commerciali di Albini Trading Shanghai, Usa e Hong Kong. «In Egitto, con le controllate Mediterranean Textile e Delta Dyeing, rispettivamente tessitura e tintoria, abbiamo un importante polo produttivo perché nella regione si coltiva uno tra i più bei cotoni al mondo per lunghezza del filo e lucentezza del filato. Dietfurt è invece una tessitura operativa in Repubblica Ceca che era uno dei nostri migliori fornitori e che noi abbiamo acquisito. In Italia, si svolge tutta la parte concettuale, la tintoria, la tessitura e sono concentrati i servizi, la logistica e il finissaggio».
L’economia circolare nel settore tessile della Strategic Community di AFIL “De- and remanufacturing for circular economy”
AFIL – in partnership con Sistema Moda Italia (SMI) – ha dato vita ad una serie di attività finalizzate a consolidare una filiera di eccellenza che concepisca progetti di ricerca e innovazione strategici per il futuro dell’industria tessile lombarda dandone visibilità alle istituzione. Grazie ad AFIL il gruppo è inserito in un percorso di posizionamento internazionale mediante diverse iniziative Europee di rilievo come Vanguard, Euratex, Regiotex e la Piattaforma S3 della Comunità Europea. Alcune delle tematiche affrontate sono: lo formulazione di nuove materie prime tessili sostenibili, lo sviluppo di nuove tecnologie per il sorting e la separazione, l’integrazione di smart devices nel tessile, ecodesign e l’implementazione di processi di riciclo. Il gruppo è inclusivo e la partecipazione è aperta a tutti i soggetti interessati al tema che vogliono condividere idee e sfide al fine di incrementare la competitività del tessile lombardo.

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